In una SRL composta da due soci di cui uno detiene il 10% delle quote e l’altro l’usufrutto sul 90% delle restanti quote; delle quali il socio A è unico proprietario.
Il socio A è l’Amministratore Unico, pertanto è iscritto ai fini INPS e di conseguenza versa sia i contributi fissi che quelli variabili (sul 10% dell’utile della srl) il socio B è iscritto all’INPS come collaboratore familiare del socio A; in quanto tale, versa i contributi fissi.
Per i soci lavorativi di SRL, iscritti alle gestioni previdenziali degli artigiani e dei commercianti, la base imponibile, fermo restando il minimale contributivo, è costituita dalla parte del reddito d’impresa dichiarato dalla SRL ai fini fiscali, attribuita al socio in ragione della quota di partecipazione agli utili.
Qualora l’usufruttuario sia socio della società egli dovrà essere inquadrato come coadiuvante (persona che presta la sua attività all’interno dell’impresa) e i contributi saranno pagati sulla base dell’utile attribuito.
Di conseguenza, il socio B dovrà pagare la contribuzione sul 90% del reddito e anche sulla parte della contribuzione variabile.
Il socio A essendo anche amministratore, dovrà, se percepisce compensi, pagare i contributi anche alla gestione separata INPS, di cui l’art 2, comma 26, della legge 335/1995.
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I criteri di riparto delle spese condominiali previsti dalla legge (art 1123 c. c) possono essere derogati da una diversa convenzione, sia essa contenuta in un regolamento contrattuale oppure attraverso il consenso di tutti i partecipanti al condominio riuniti in assemblea.
Può essere che negli stabili di nuova edificazione, il costruttore si sia assegnato l’incarico di predisporre il regolamento dell’esonero alle spese condominiali sugli appartamenti rimasti di sua proprietà in quanto invenduti.
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Nel 2023 l’Agenzia delle Entrate ha chiarito come non sia obbligatorio che i documenti relativi alle spese condominiali delle parti comuni siano per forza intestate al condomino incaricato e/o all’amministratore.
È consentito che le fatture relative alle parti comuni possano essere intestate anche ad un singolo soggetto.
Ogni condomino, quindi, può rivolgersi direttamente al fornitore e gestire la propria quota di spesa ma anche per i lavori relativi alle parti comuni che caratterizzano l’intervento come condominiale.
In ogni caso, i condomini sono tenuti sempre a dimostrare che gli interventi sono stati effettuati sulle parti comuni dell’edificio ed erano necessari.
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Quando un artigiano anche se per hobby realizza prodotti artigianali con una certa regolarità, magari riciclando materiali di scarso valore se partecipa a mostre e vende solo qualche pezzo non è in presenza di reddito di impresa ma di una categoria diversa: Quella dei redditi diversi.
Visto che i beni vengono prodotti per la vendita, non si può escludere la natura della vendita reddituale dell’operazione.
L’utile al netto dei costi specifici inerenti vannoindicati in un apposito quadro delle dichiarazioni dei redditi, tra i redditi occasionali.
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La recente Giurisprudenza, ritiene che per operare su un contratto di mandato con rappresentanza anche sui portali online per conto di proprietari e incassando una percentuale dal mandante sui canoni di locazione e/o vendita, si deve essere in possesso dell’abilitazione come Agente Immobiliare.
Infatti, l’attività degli Agenti d’affari in mediazione con mandato a titolo oneroso, che consiste, in forza di un mandato, nel gestire immobili in nome e per conto di un altro soggetto, detto mandante.
Si tratta di una categoria introdotta dall’art 2 comma 2, della legge 39/198, che ha istituito quattro sezioni per il Ruolo agenti d’affari in mediazione (MEDIATORI) la sezione C è quella degli agenti con mandato a titolo oneroso.
Gli agenti con mandato a titolo oneroso sono da identificare con i cosiddetti mediatori atipici o unilaterali, che operano per conto e su incarico di una sola parte e che anche la Giurisprudenza sulla suprema corte ha riconosciuto.
Anche costoro sono quindi soggetti al rispetto di tutta la normativa in tema di mediatori immobiliari, tra cui in particolare, l’art 2, lettere e) f) della legge citata.
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Se un amministratore condominiale invia online l’avviso di convocazione di una assemblea ordinaria annuale con relativa documentazione contabile e uno dei condomini non è in grado di stampare tale documentazione può chiedere anticipatamente senza interferire sull’attività condominiale, le copie dei documenti oggetto di eventuale approvazione, ma in questo caso le spese dei documenti sono a carico del condomino richiedente, che si deve recare presso lo studio dell’amministratore per il ritiro, salvo accordi diversi.
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Nel caso della morte del coniuge senza ascendenti ne discendenti, se la moglie trova un testamento olografo (scritto di proprio pugno del testatore) nel quale viene nominato erede universale il coniuge è valido e non c’è necessità di conferma alcuna.
Un testamento però privo di data può essere annullato a norma dell’art. 606 del Codice Civile su istanza da chi ne possa avere interesse, entro 5 anni dal giorno in cui si è data esecuzione alle disposizioni testamentarie.
Se il testamento non è stato scritto di pugno del testatore, una volta accertato, viene dichiarato SEMPRE NULLO.
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Una domanda che ci si può porre se si riceve una fattura e successivamente viene annullata con nota di credito; si devono registrare entrambe nel registro degli acquisti una in positivo e l’altra in negativo?
La risposta è che le fatture errate e le note di credito devono essere entrambe riportate nel registro degli acquisti, in modo che con la doppia registrazione si garantisce il passaggio sia tra i documenti che transitano dal sistema di interscambio e le registrazioni contabili.
Inoltre se si ricevono fatture per prestazioni di servizi che non si intendono pagare e il fornitore non vuole emettere nota di credito, si devono registrare comunque in quanto consentono di evitare decadenze nell’esercizio della detrazione IVA.
Cosa può succedere nei meandri di un conto corrente bancario? Una recente sentenza del Tribunale di Padova ha permesso ad un correntista di recuperare dalla propria banca 141.469,30 euro pagati ma non dovuti, nella gestione del conto. La vicenda riguarda un negozio di ferramenta di Dolo, nel Veneziano, peraltro in liquidazione, che nel 2019 si è rivolto al Tribunale di Padova chiedendo l'accertamento dell'illegittimità degli addebiti nei propri conti correnti aperti nella filiale di una banca nazione con filiale ne territorio.
La ricostruzione e l'analisi dei conti fatta fare dall'imprenditore ha riguardato la gestione del conto dal 1993 fino al 2013.
Nel corso di vent'anni di rapporto con la propria banca, il ferramenta ha sostenuto di aver individuato irregolarità nella gestione per la cifra "monstre" di 227.459,91 euro. In particolare, la società in liquidazione ha sostenuto di essere creditrice nei confronti della banca per 89.104,79 euro di interessi superiori alla soglia usuraria, 34.007,33 euro di commissione di massimo scoperto non dovuta, 52.057,49 euro di illegittima capitalizzazione di interessi debitori (anatocismo) e per 52.290,30 euro di interessi non pattuiti, per l'applicazione di condizioni peggiorative non comunicate dalla banca.
Il Tribunale ha così nominato un consulente tecnico d'ufficio (ctu) che ha ricostruito il conto, individuando il saldo alla chiusura del rapporto tra banca e correntista.
L'esito della verifica contabile eseguita dal ctu ha fatto emergere che il saldo finale non era di 618,97 euro a credito della banca, come risultava dal conto ma bensì pari a 141.469,30 euro a credito del correntista.
Il giudice monocratico della seconda sezione civile del Tribunale, Maria Antonia Maiolino, il 5 novembre scorso ha condannato quindi la banca a restituire alla società di ferramenta la somma di 141469,30 euro oltre a pagare spese legali quantificate in 14.103,00 euro e spese tecniche.
Il correntista risarcito per far valere le proprie ragioni, si era rivolto all'Associzione Azienda & Famiglia Tutelata" di Schio (VI) operante da più di dieci anni, che si avvale di un pool di avvocati. "Analizziamo i conti bancari e spesso li troviamo viziati da irregolarità ed errori. Aiutiamo così privati ed aziende a districarsi tra contratti, clausole, tassi, rate, rientri, leasing, derivati e sofferenze bancarie ed a capire il "banchese", la lingua delle banche" spiega l'Avv. Bressanello, presidente dell'Associazione.
In un edificio condominiale le spese di portierato sono a carico di tutti i condomini in misura proporzionale al valore della singola unità immobiliare, compresi i proprietari di magazzini e negozi con ingresso diretto dalla via.
A meno che non ci siano delle improbabili varianti nel regolamento di condominio di natura contrattuale, trattandosi di un servizio che assicura la custodia e la vigilanza all’interno del fabbricato.
Altra eccezione può essere il fatto che il suddetto servizio non possa considerarsi valido nell’interesse di tutti i condomini.
Per quanto riguarda la ripartizione delle spese condominiali riferito alla pulizia delle scale va effettuata in base al criterio proporzionale dell’altezza dal suolo di ciascun piano cui esse servono.
In applicazione analogica dell’articolo 1124 del Codice civile che è espressione del principio generale posto dall’articolo 1123 del Codice civile, comma 2. Va considerato quindi il fatto che i proprietari dei piani alti logorano le scale in misura maggiore rispetto ai proprietari dei piani bassi e a parità di uso sporcano le scale in misura maggiore.
Pertanto devono contribuire in misura maggiore alle spese di pulizia.
Va quindi applicato il criterio di ripartizione: metà della spesa si ripartisce in base al valore delle singole unità immobiliari e l’altra metà, invece, in misura proporzionale all’altezza di ciascun piano dal suolo.
Buongiorno, tre anni fa è morta mia zia vedova senza figli che aveva due conti correnti in due banche diverse. Gli eredi sono due fratelli e un nipote figlio di una sorella precedentemente defunta. Uno dei due conti è stato parzialmente utilizzato per pagare le spese funerarie da parte di una nipote che aveva la procura sul conto. Entrambi i conti presentano ad oggi un saldo al di sotto dei 1.000 euro. Non essendoci dei beni immobili e mobili non è stata presentata la denuncia di successione e nessuno degli eredi ha formalmente accettato o rinunciato all’eredità. Ad oggi i conti correnti risultano ancora aperti e le banche ci hanno detto che in mancanza di una denuncia di successione non possono estinguere i conti. C’è un altro modo possibile per far chiudere i conti ed incassare le somme giacenti?
Grazie.
Risponde l'Avv. Bressanello
Per l’estinzione di un rapporto bancario di un defunto la banca richiede la denuncia di successione presentata all’Agenzia delle Entrate. L’obbligo di presentazione della denuncia non sussiste quando risultano eredi il coniuge e i parenti in linea retta in assenza di beni immobili o diritti reali immobiliari e quando l’attivo ereditario non supera i 100.000 euro.
Nel caso specifico gli eredi in linea retta dovranno presentare alla banca una certificazione firmata da tutti gli aventi diritto in cui attestano la qualità di eredi e la sussistenza delle condizioni previste dalla legge per l’esenzione dell’obbligo di presentazione della dichiarazione di successione. Una volta presentata la documentazione la banca provvederà ad estinguere il rapporto di conto corrente liquidando gli eredi in base alle rispettive quote.
Buongiorno, io e mio cugino abbiamo ricevuto in eredità da uno zio (celibe e senza figli), rispettivamente fratello di mio padre e di sua madre (entrambi in vita), la quota di partecipazione del 30% in due distinte società Srl. A mio cugino una società operante nel settore tessile e a me una operante nel settore delle macchine tessili. Dopo la chiusura della successione è risultato che lo zio vantava nei confronti di entrambe le società dei crediti personali di importo differente per finanziamenti infruttiferi che non erano stati ricompresi nel testamento né nell’asse ereditario. Chiedo pertanto, in mancanza di indicazioni precise nel testamento, come vengono attribuiti questi crediti? Vanno ripartiti in base all’assegnazione ereditaria delle rispettive quote di partecipazione nelle rispettive società finanziate o vanno attribuite a tutti gli eredi?
Grazie.
Risponde l'Avv. Bressanello
Trattandosi di finanziamento infruttifero e non finanziamento in conto capitale, le somme vengono versate dai soci, in base alla loro quota di partecipazione sociale, a titolo di mutuo a favore della società con l’obbligo della restituzione da parte di quest’ultima entro dei termini stabiliti in sede di delibera assembleare. La società risulta pertanto debitrice nei confronti del socio e l’estinzione del debito non potrà che avvenire mediante il pagamento verso quest’ultimo o verso i sui eredi.
L’attribuzione delle quote in due distinte società sono state assegnate dal defunto a vantaggio di alcuni eredi piuttosto che ad altri e nel caso specifico impone delle riflessioni sulla base del principio espresso dalla Cassazione (n. 16049 del 29.07.2015) secondo il quale la cessione della quota sociale da parte del socio, ove non specificato, conserva la titolarità del credito “uti singulus”. In sostanza viene affermato che in mancanza di una indicazione specifica saranno tutti gli eredi a beneficiare del credito da finanziamento in proporzione alle attribuzioni ricevute.
Un’ulteriore sentenza della Cassazione (n.6132 del 30.03.2016) stabilisce che nonostante il finanziamento infruttifero risulti dai documenti contabili delle società partecipate, il rimborso dello stesso rappresenta un evento sopravvenuto dotato di autonoma rilevanza dichiarativa e impositiva e pertanto assoggettabile all’applicazione dell’imposta di successione in misura superiore.
La Corte di Appello di Venezia ha assolto perché il fatto NON costituisce reato l’imprenditore Presa Corrado titolare dell’Officina meccanica "PRESA IMPORT & EXPORT" di Padova.
Era il 2016 quando la Guardia di Finanza a seguito di una complessa indagine denominata meccanica fantasma che ha visto coinvolti 18 soggetti arrivò all’imprenditore Presa, contestandogli un milione e cinquecento mila euro di fatture per operazioni inesistenti, chiedendo e ottenendo un sequestro cautelativo di oltre un milione di beni in capo a Presa e alla sua famiglia.
Successivamente nel 2020 il Tribunale di Padova condannò Presa a quel tempo difeso da un altro legale alla pena di 3 anni e 10 mesi con l’interdizione fino alla fine della pena e la confisca dei beni.
Nel processo di appello Presa si rivolse all’avvocato Luca Cobalchini, il quale depositò una corposa memoria e nella sua articolata arringa in punta di diritto avanti ai giudici veneziani contestò punto per punto la ricostruzione effettuata dalla Guardia di finanza e avvalorata dai Giudici Padovani.
Il legale contestando proprio la ricostruzione effettuata dalla Guardia di finanza in quanto priva di riscontri effettivi ha chiesto l’assoluzione e la revoca del sequestro cautelativo comminati in 1° grado
I giudici hanno creduto in pieno alla ricostruzione altamente tecnica dell’avvocato Cobalchini e hanno assolto l’imprenditore.